GLI UOMINI DELLA RSI: GIORGIO
PINI
GIORGIO PINI, L’ESEGETA
DELLA CIVILTA’ SOCIALE
Bruno De Padova
Emerge in continuità dall’operosa regione d’Emilia-Romagna,
da quell’ubertoso territorio che diede all’Italia uomini eccezionali quali
Benito Mussolini, Guglielmo Marconi, Goffredo Coppola, Giuseppe Verdi e
Ottorino Respighi, Italo Balbo, Ettore Muti e parecchi altri cittadini
illustri provenienti dall’intera area geografica inclusa tra Piacenza,
Ferrara e Rimini, il significativo insegnamento di coerenza morale e politica
dello scrittore e giornalista Giorgio Pini, che ebbe i natali l’1 febbraio
1899 nel capoluogo felsineo, ove s’innalzano sopra i quartieri di Bologna
le famose torri degli Asinelli e della Garisenda. Egli apportò,
a chi seppe considerarlo, una lezione di stile e di rispetto dei maggiori
valori spirituali, indispensabili oggigiorno per rinnovare la condanna
di quel malcostume imperversante soprattutto nell’ambito della partitocrazia
e in cui gli opportunisti – specie quelli deprecati già nel 1908
dal faentino Alfredo Oriani nell’opera ‘La rivolta ideale’ – continuano
a rinnegare le conquiste della civiltà e la disciplina etica per
il progresso sociale (quella osservata significativamente da Socrate a
Giuseppe Mazzini ed anche dal romagnolo Nicola Bombacci), che rappresentano
invece la forza motrice di quell’aristocrazia nuova caratterizzata
dal vigore del carattere e dalla continuità morale.
Laureatosi in giurisprudenza, Giorgio Pini – dopo
la sua partecipazione quale volontario alla ‘Grande Guerra’ conclusasi
con la redenzione di Trento, Trieste, Fiume e la Dalmazia – aderì
nel 1920 al movimento fascista; ma, la sua maturazione iniziale avvenne
il 15.11.1914, allorché poté leggere nel primo numero del
nascente quotidiano Il Popolo d’Italia l’articolo basilare di fondo
e intitolato ‘Audacia!’, scritto impegnativo di Benito Mussolini
che fu per migliaia di giovani italiani e per lui la vera iniziazione alla
politica e il pieno incontro spirituale col suo autore.
Fu mediante la documentazione fornita col libro ‘Filo diretto con
Palazzo Venezia’ (ediz. 1967), che G. Pini perfezionò il commento
e l’ambientazione politica di B. Mussolini e poi del Fascismo nel grande
panorama degli avvenimenti fra il 1914 e il 1943, cioè nel quadro
storico della vita italiana e internazionale durante quei decenni di rivolgimenti
interni e di guerre mondiali, in quanto essi promuovono l’equa considerazione
e la successiva maturazione ad una interpretazione equilibrata della Repubblica
Sociale, della sua programmazione evolutiva (d’autentica portata rivoluzionaria)
nell’ordinamento dell’economia produttiva e dell’apoteosi del lavoro per
la liberazione dei popoli verso il progresso civile, redenti dalla soggezione
alle oligarchie plutocratiche e dalle falsità avvolgenti della dialettica
marxiana.
Restiamo però, a Bologna, in quell’anno – 1920 – in cui Leandro
Arpinati fondò il settimanale politico L’Assalto diretto
poi da Baroncini e quindi da G. Pini, che per quest’ultimo significò
1’inizio d’una brillante carriera giornalistica, mentre gli consentì
di contribuire con efficacia all’azione propulsiva del movimento fascista
nell’incontro con le genti d’ogni categoria per affrancarle dal caos del
primo dopoguerra e dal tormento di quelle ‘settimane rosse’ che sconvolsero
le zone ferrarese, romagnola e marchigiana.
Poi, con l’ampliarsi di questo fulcro d’azione politica, Pini – alla
fine del 1921 – osservò che soltanto il fascino personale di B.
Mussolini ("con potenza certo non più posseduta da un uomo
dopo Napoleone e Garibaldi") riuscì a coordinare in una
disciplina unitaria gli elementi eterogenei che erano affluiti nei fasci
di combattimento dai più disparati settori politici e così
si realizzò la ‘marcia su Roma’ e la successiva conquista di Palazzo
Chigi.
E’ doveroso nel contempo specificare che il problema della stampa,
della sua libertà e della sua funzione di critica costruttiva fu
per G. Pini di costante impegno, cioè di stile e, nonostante l’incedere
di assolutismo esclusivista del 1925, il direttore de L’Assalto
rimase sempre intransigente nella salvaguardia dell’autonomia del periodico
della federazione del P.N.F. di Bologna. Tale fermezza fruttò a
G. Pini la nomina a direttore del quotidiano felsineo Il Resto del Carlino,
riuscendo ad animarlo – come gli chiese Mussolini – quanto il Corriere
padano, cioè i1 battagliero foglio ferrarese di Italo Balbo
condotto da Nello Quirici.
In questo G. Pini riuscì con capacità professionale;
per cui, nel 1930 Augusto Turati e Arnaldo Mussolini ne promossero la designazione
alla guida del Giornale di Genova. Nel capoluogo ligure perfezionò
con analogo impulso le edizioni del pomeridiano Corriere mercantile,
non mancando di segnalare già allora l’importanza determinante che
la ‘camionale Genova-Serraval1e’ aveva assunto per il potenziamento
dei collegamenti tra la Valle Padana e il massimo scalo marittimo d’Italia,
nonché con le linee di navigazione verso l’Africa e le Americhe.
Dopo di che, G. Pini venne incaricato a risollevare le sorti del giornale
Il Gazzettino, compromesse a Venezia dalle liti fra gli eredi e
successori de1 fondatore Talamini.
Ovunque, da Bologna a Genova e Venezia, lo ‘stile’ giornalistico di
G. Pini, la sua capacità di perfezionare la collaborazione con i
redattori, i corrispondenti esterni, gli inviati e le agenzie d’informazione
(specie la Stefani) e il costante dialogo con il pubblico dei lettori
vitalizzarono l’efficienza della sua stampa, specie con l’opinione
popolare. Ciò lo compresero bene a Roma ed a Palazzo Venezia.
Infatti, la missione giornalista d’informazione formatrice di G. Pini
venne agevolata dal complesso di realizzazioni politiche e d’impegno sociale
sincronizzate dal programma di Sansepolcro (23.3.1919) al caposaldo della
Carta del Lavoro (21.4.1927), al contratto collettivo per qualsiasi categoria
produttrice, dalla riforma gentiliana della scuola (1923) sino a quella
di Bottai (1939) che concretizzarono la Carta della Scuola, dal Concordato
con la Chiesa (1929) al risanamento nazionale dell’agricoltura (dalla ‘battaglia
del grano’ alla bonifica integrale delle paludi pontine – con l’edificazione
di Littoria/Latina – a quella della Maremma e della Valdichiana), dal riordinamento
giudiziario all’incremento responsabile della Cultura, e quando – nel dicembre
1936 – sostituì Sandro Giuliani nel ruolo di caporedattore a Il
Popolo d’Italia, la tiratura, che stazionava sulle 150.000 copie
giornaliere, riprese ad aumentare.
Nell’assumere l’incarico di caporedattore (la direzione de Il Popolo
d’Italia dal 1931 al 26.7.1943 fu sempre di Vito Mussolini), G. Pini
il 22.12.1936 ricevette dal suo fondatore il preciso compito di rinnovarlo
e lo fece bene, con rapidità, col programma di globale ricomposizione,
sostituendo le attrezzature anche tipografiche, l’impaginazione ecc. senza
esitazioni. Con una terza pagina più varia, con l’inserimento di
rubriche d’evasione (molto sport, racconti e persino la moda), la tiratura
del quotidiano salì a 170.000 copie nel marzo 1937, a 263.000 in
giugno e dopo, durante la Guerra di Spagna, la richiesta crebbe a 360.000
copie.
E’ bene rammentare che tra i redattori, i corrispondenti, gli articolisti
si distinsero M. Appelius, L. Barzini, E. Daquanno, U. Manunta, N. Nutrizio,
C. Costamagna, N. Giani, G. Pallotta, S. Panunzio, A. Soffici, U. Spirito,
G. B. Vicari e molti altri.
Il quotidiano indicato ottenne con G. Pini la tiratura eccezionale
di 434.000 copie il 28.10.1938, di 435.000 il 10.6.1940 e di 348.000 nel
febbraio 1943. Egli ebbe tra il 1936 e il 1943 più di trecento incontri
telefonici con Mussolini, otto udienze ed innumerevoli altri durante le
manifestazioni pubbliche. Dopo il 26.7.1943 – in seguito al complotto di
Grandi, dei Savoia e di Badoglio – tale quotidiano cessò le pubblicazioni
e, dopo l’8 settembre, Mussolini – anche con l’istituzione della Repubblica
Sociale – non volle farlo rinascere.
Quell’Italia che, per l’infamia del tradimento sabaudo, annoverò
– insieme a Mussolini – una schiera di uomini che, aderendo alla Repubblica
Sociale, promosse una straordinaria complessità d’intendimenti per
la rinascita della Nazione per cui C. A. Biggini attivò il progetto
di Costituzione della R.S.I., ebbe in Giorgio Pini uno tra i più
validi sostenitori: non soltanto quale nuovo direttore del quotidiano bolognese
Il Resto del Carlino (incarico che assolse con inconsueto equilibrio
d’informazione nonostante l’inasprimento della guerra civile), ma anche
– quale Sottosegretario agli Interni a fianco del Ministro Zerbino in riva
al Garda – per sollecitare sempre, in qualsiasi struttura del Fascismo
repubblicano, una maggiore forma di democrazia, precisamente, quella di
una libertà capace di soddisfare l’esigenza collettiva d’intendimenti,
pertanto di convocare le assemblee del P.F.R. non solo quando piace
ai gerarchi, ma quando lo vogliono i fascisti della base.
Ciò conferma che tale sua richiesta venne recepita da Mussolini
(G. Pini, ‘Itinerario tragico’ – ediz. 1950 – pag. 75), tanto che,
alla vigilia dell’epilogo della R.S.I. e del Secondo Conflitto Mondiale,
precisò a quanti l’avevano seguito: "Dovete sopravvivere
e mantenere nel cuore la fede. Il mondo – me scomparso –
avrà bisogno ancora dell’Idea che è stata e sarà la
più audace, la più originale e la più mediterranea
delle idee. La storia mi darà ragione".
Inoltre, insieme a Duilio Susmel, G. Pini nel 1955 approntò
quell’esatto studio enciclopedico intitolato ‘Mussolini, l’Uomo e l’opera’
che nel volume IV, quello intitolato ‘Dall’Impero alla Repubblica’,
a pag. 367, specifica che "la rivoluzione sociale del fascismo,
iniziata fin dal sorgere del movimento, ha dovuto per alcuni anni seguire
un moto lento e non rettilineo a causa degli ostacoli che le classi capitalistiche,
protette dalla monarchia, hanno opposto", ma che – dopo il congresso
del P.F.R. a Verona nel novembre 1943 – con il decreto legge sulla socializzazione
delle imprese (12.2.1944) il lavoro attivamente operante assurse a soggetto
fondamentale dell’economia con funzioni di responsabilità e di direzione.
Poi, al termine del capitolo VIII del quarto volume dell’opera citata
col titolo ‘Ritorno al socialismo’ (pag. 466), Pini e Susmel indicano
come Mussolini – quando la sconfitta militare nel 1945 gli apparve ormai
ineluttabile – presagì quanto il destino d’Italia era segnato, ma
non quello delle idee: "tutto sarà fatto nel nome della
democrazia, della giustizia e della libertà, un paravento dietro
il quale si nascondono gli interessi del più sudicio capitalismo,
venga questo da Londra, da New York o da Mosca. Il popolo italiano vivrà
un periodo amarissimo, che vedrà scardinati tutti i principi dell’onestà
e della morale".
Pini e Susmel ricordano (volume IV dell’opera citata, pag. 453) che
Mussolini, nel discorso del Lirico il 16 dicembre 1944 a Milano, precisò
come l’art. 3 del manifesto di Verona ed elaborato dal P.F.R. ammetteva
nella Repubblica Sociale la presenza di altri gruppi politici con diritto
di controllo e di responsabilità critica (ricordiamo quello di Emondo
Cione, ad esempio) partendo però, dall’accettazione leale, integrale
e senza riserve del trinomio Italia, Repubblica, Socializzazione,
indiscusso vessillo di un nuovo ordinamento di progresso civile.
"Qualunque cosa accada" – ribadì Mussolini
– "la socializzazione è la soluzione logica e razionale
che evita da un lato la burocratizzazione dell’economia, attraverso il
totalitarismo di Stato e supera l’individualismo dell’economia liberale
che fu un efficace strumento di progresso agli esordi dell’economia capitalista,
ma oggi è da considerarsi non più in fase con le nuove esigenze
di carattere sociale delle comunità".
Nel dopoguerra successivo all’aprile 1945, Giorgio Pini venne perseguitato
dal C.N.L., ma ciò non valse a ridurre la capacità di convalidazione
della propria opera politica, omologazione chiesta al M.S.I. affinché
tale schieramento politico non degenerasse – come avvenne poi col suo scioglimento
a Fiuggi nel 1994 – in quel camaleontismo d’opportunismi che oggidì
è attivissimo nell’agglomerato di Alleanza Nazionale.
Allorché tale degenerazione, anzi un’autentica defezione ideologica,
s’accentuò nel M.S.I. con lo stravolgimento dei presupposti fondamentali
della rivolta ideale intrapresa da Oriani e perfezionata da Mussolini,
Giorgio Pini condannò inequivocabilmente quel tradimento; e negli
anni successivi ai congressi di Milano (1956) e di Pescara, molto prima
della sua morte avvenuta a Bologna il 30 marzo 1987, richiamò le
nuove generazioni ai valori fondamentali della storia e della civiltà
politica, quelli che non accettano i funambolismi dei doppiogiochisti e
che proiettano la distinzione del lavoro per l’affermazione nel futuro
dell’inno della giovinezza morale.
ITALICUM Gennaio-Febbraio 2004 (Indirizzo e telefono: vedi
PERIODICI)